LA MAFIA
Con il termine mafia si intende un sistema di potere esercitato attraverso l’uso della violenza e dell’intimidazione per il controllo del territorio, di commerci illegali e di attività economiche e imprenditoriali; è un potere che si presenta come alternativo a quello fondato sulle leggi e rappresentato dallo Stato.
La mafia – detta anche Onorata società, da cui la definizione di ‘uomini d’onore’ per i suoi membri – viene normalmente associata alla Sicilia, dove ha assunto il nome di Cosa Nostra. Ciò avviene per motivi storici, poiché in tale regione c’è stata una presenza di questo contro-potere fin dal 19° secolo. Ma negli ultimi decenni la criminalità organizzata che si rifà a comportamenti e regole interne di tipo mafioso si è estesa ad altre realtà locali, con denominazioni diverse: Camorra in Campania, ’Ndrangheta in Calabria, Sacra corona unita in Puglia; oppure raccoglie gruppi di persone che agiscono in modo analogo e che vengono denominati secondo la nazionalità di chi ne fa parte: si parla quindi di mafia russa, mafia cinese, mafia albanese…
Alla base dell’organizzazione mafiosa c’è la famiglia, costituita dai singoli uomini d’onore associati per cooptazione e coordinati da un capodecina, che agisce su un determinato territorio. Se la famiglia è numerosa ci sono più capidecina che fanno riferimento a un unico ‘rappresentante’. Tre o più famiglie contigue per territorio costituiscono un mandamento, di cui è capo uno dei rappresentanti. I capimandamento a loro volta si riuniscono nella commissione provinciale (o cupola). Da ultimo la mafia prevedeva anche una commissione regionale, ma l’egemonia su Cosa Nostra è stata sempre esercitata dai capimafia della provincia di Palermo.
Nel 1982, a seguito dell’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, l’associazione mafiosa è stata inserita nel Codice penale come reato specifico, indipendentemente dal reato commesso (per esempio omicidio, traffico di droga, corruzione). Inoltre è stata adottata anche la norma che consente il sequestro e la confisca dei beni dei condannati per associazione mafiosa.
Venti anni prima dell’introduzione di questo reato, nel 1962, la Camera e il Senato per occuparsi del fenomeno avevano istituito una commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia che da allora è stata ricostituita a ogni legislatura.
Il Codice penale fa esplicito riferimento alla «forza di intimidazione» della mafia e alla «condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva» per spiegare l’atteggiamento di larga parte della società imposto dall’organizzazione mafiosa, che ha contribuito al suo rafforzamento per oltre un secolo. Solo negli ultimi anni, in Sicilia ma anche in altre regioni come la Calabria, di fronte a delitti eclatanti ci sono stati sintomi di ribellione da parte della cosiddetta società civile, in particolare dei giovani, che sembrano aver incrinato la generale assuefazione alla coesistenza con la mafia
A Palermo nel 1992, fu celebrato un maxiprocesso contro 475 imputati; questo processo fu possibile grazie alle indagini del pool, basate sulle dichiarazioni di Buscetta e di altri pentiti riscontrate da indagini mai svolte prima con tanta efficacia. Per la prima volta l’azione giudiziaria si dimostrava in grado di incidere sull’organizzazione mafiosa. Ma la reazione di Cosa Nostra scatenò un’offensiva di vero e proprio terrorismo mafioso.
Tra il 1992 e il 1993 si verificò una serie di delitti e stragi, come gli attentati che provocarono la morte di Giovanni Falcone insieme alla moglie e a tre uomini della sua scorta (Capaci, 23 maggio 1992) e poi di Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta (Palermo, 19 luglio 1992). Altre bombe attribuite alla mafia scoppiarono tra la primavera e l’estate del 1993 a Firenze, Roma e Milano dopo la cattura del boss Salvatore Riina (Palermo, 15 gennaio 1993). Contemporaneamente venivano uccisi alcuni uomini vicini al potere politico considerati collusi con l’organizzazione criminale.
La risposta giudiziaria a questi ultimi avvenimenti ha prodotto nuove leggi che hanno introdotto fra l’altro organismi specializzati nel contrasto investigativo e giudiziario alla mafia e un regime di ‘carcere duro’ per gli uomini d’onore detenuti (il cosiddetto articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario), numerosi ‘pentimenti’ e arresti di altri capimafia.
La mafia – detta anche Onorata società, da cui la definizione di ‘uomini d’onore’ per i suoi membri – viene normalmente associata alla Sicilia, dove ha assunto il nome di Cosa Nostra. Ciò avviene per motivi storici, poiché in tale regione c’è stata una presenza di questo contro-potere fin dal 19° secolo. Ma negli ultimi decenni la criminalità organizzata che si rifà a comportamenti e regole interne di tipo mafioso si è estesa ad altre realtà locali, con denominazioni diverse: Camorra in Campania, ’Ndrangheta in Calabria, Sacra corona unita in Puglia; oppure raccoglie gruppi di persone che agiscono in modo analogo e che vengono denominati secondo la nazionalità di chi ne fa parte: si parla quindi di mafia russa, mafia cinese, mafia albanese…
Alla base dell’organizzazione mafiosa c’è la famiglia, costituita dai singoli uomini d’onore associati per cooptazione e coordinati da un capodecina, che agisce su un determinato territorio. Se la famiglia è numerosa ci sono più capidecina che fanno riferimento a un unico ‘rappresentante’. Tre o più famiglie contigue per territorio costituiscono un mandamento, di cui è capo uno dei rappresentanti. I capimandamento a loro volta si riuniscono nella commissione provinciale (o cupola). Da ultimo la mafia prevedeva anche una commissione regionale, ma l’egemonia su Cosa Nostra è stata sempre esercitata dai capimafia della provincia di Palermo.
Nel 1982, a seguito dell’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, l’associazione mafiosa è stata inserita nel Codice penale come reato specifico, indipendentemente dal reato commesso (per esempio omicidio, traffico di droga, corruzione). Inoltre è stata adottata anche la norma che consente il sequestro e la confisca dei beni dei condannati per associazione mafiosa.
Venti anni prima dell’introduzione di questo reato, nel 1962, la Camera e il Senato per occuparsi del fenomeno avevano istituito una commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia che da allora è stata ricostituita a ogni legislatura.
Il Codice penale fa esplicito riferimento alla «forza di intimidazione» della mafia e alla «condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva» per spiegare l’atteggiamento di larga parte della società imposto dall’organizzazione mafiosa, che ha contribuito al suo rafforzamento per oltre un secolo. Solo negli ultimi anni, in Sicilia ma anche in altre regioni come la Calabria, di fronte a delitti eclatanti ci sono stati sintomi di ribellione da parte della cosiddetta società civile, in particolare dei giovani, che sembrano aver incrinato la generale assuefazione alla coesistenza con la mafia
A Palermo nel 1992, fu celebrato un maxiprocesso contro 475 imputati; questo processo fu possibile grazie alle indagini del pool, basate sulle dichiarazioni di Buscetta e di altri pentiti riscontrate da indagini mai svolte prima con tanta efficacia. Per la prima volta l’azione giudiziaria si dimostrava in grado di incidere sull’organizzazione mafiosa. Ma la reazione di Cosa Nostra scatenò un’offensiva di vero e proprio terrorismo mafioso.
Tra il 1992 e il 1993 si verificò una serie di delitti e stragi, come gli attentati che provocarono la morte di Giovanni Falcone insieme alla moglie e a tre uomini della sua scorta (Capaci, 23 maggio 1992) e poi di Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta (Palermo, 19 luglio 1992). Altre bombe attribuite alla mafia scoppiarono tra la primavera e l’estate del 1993 a Firenze, Roma e Milano dopo la cattura del boss Salvatore Riina (Palermo, 15 gennaio 1993). Contemporaneamente venivano uccisi alcuni uomini vicini al potere politico considerati collusi con l’organizzazione criminale.
La risposta giudiziaria a questi ultimi avvenimenti ha prodotto nuove leggi che hanno introdotto fra l’altro organismi specializzati nel contrasto investigativo e giudiziario alla mafia e un regime di ‘carcere duro’ per gli uomini d’onore detenuti (il cosiddetto articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario), numerosi ‘pentimenti’ e arresti di altri capimafia.